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Sfollati da Khartoum riparati in un campo di accoglienza nel centro del Sudan Sfollati da Khartoum riparati in un campo di accoglienza nel centro del Sudan

Sudan, le sofferenze di un Paese lacerato dalla guerra

Il conflitto iniziato un anno e mezzo fa, e negli ultimi giorni intensificatosi nella capitale Khartoum, ha già causato oltre 7.500 morti e oltre sei milioni e mezzo di sfollati. La testimonianza di un religioso: “La situazione è tragica, si rischia una nuova Libia, e non c’è rispetto per la popolazione, ormai stremata, senza accesso a servizi sanitari, medicine, cibo e acqua potabile”

di Enrico Casale

Il Sudan è in guerra da un anno e mezzo. Un conflitto civile che, secondo le stime delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni umanitarie, ha causato almeno 7.500 vittime e ha costretto allo sfollamento 6,5 milioni di persone.

Negli ultimi giorni i combattimenti si sono intensificati, in particolare nella capitale Khartoum l’esercito regolare sembra aver ripreso l’iniziativa per assumere il controllo di alcune aree strategiche ormai da mesi in mano alle Forze di supporto rapido (Rsf). L’offensiva dell’esercito, secondo l’agenzia Fides, è iniziata a fine settembre e da allora i militari guidati da Abdel Fattah Al Burhan sono riusciti a conquistare alcune aree, avvicinandosi al palazzo presidenziale occupato dalle Rsf. L’esercito avrebbe anche assunto il controllo dei due ponti principali della capitale Khartoum, che la collegano alla vicina città di Omdurman. Notizie positive per l’esercito sembrano arrivare anche da altre zone del Paese, dilaniato da un anno e mezzo di guerra. L’esercito ha assunto il controllo di una base militare delle Rsf nel Darfur settentrionale.

I combattimenti esplosi nell’aprile 2023 hanno distrutto infrastrutture vitali, provocato carenze alimentari e sanitarie, e ostacolato gravemente l’accesso agli aiuti umanitari. Nonostante vari tentativi di mediazione da parte di organizzazioni internazionali, la situazione resta estremamente instabile e complessa. «La situazione è tragica, non si può usare un altro termine - spiega a L’Osservatore Romano un religioso cattolico che vuole mantenere l’anonimato -. Il conflitto ha diviso il Paese in due e c’è il pericolo che il Sudan si trasformi in una nuova Libia: nazione spaccata, con leader che non si accordano per la pace e influenze di forze esterne».

Le radici del conflitto risalgono alla fine del regime di Omar al-Bashir nel 2019. Dopo la sua destituzione, il Sudan ha vissuto un periodo di transizione in cui civili e militari hanno condiviso il potere in un Consiglio sovrano, con l’intento di avviare il Paese verso un governo democratico. Tuttavia, il colpo di stato militare del 2021 ha interrotto questo processo.

Nel 2023, le tensioni tra l’esercito regolare, guidato dal generale al-Burhan, e le Rsf, guidate da Mohamed Hamdan Dagalo (conosciuto anche come Hemetti), si sono intensificate. Le Rsf erano una forza paramilitare emersa dal conflitto in Darfur negli anni 2000, ma hanno acquisito sempre più potere nel corso del tempo. Il conflitto diretto tra i due gruppi è scoppiato nell’aprile del 2023, principalmente a causa delle controversie sul futuro della leadership militare e sulla fusione delle Rsf con l’esercito regolare come parte delle riforme promesse.

«Nelle aree sotto il controllo governativo - continua la fonte -, la vita è pressoché regolare. L’autorità assicura la sicurezza interna e, dove funzionano le strutture, è garantita anche l’assistenza sanitaria. Certo, non tutto è facile. Nelle grandi città sono affluite masse di sfollati. A Port Sudan, per esempio, la popolazione è raddoppiata, forse anche di più. Ciò ha causato un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e degli affitti. Molte persone hanno perso il lavoro. Tirare avanti in queste condizioni è dura».

Molto più difficile è però la vita nelle zone sotto controllo delle Rsf. «I miliziani - continua - non hanno rispetto per la popolazione: incendiano i villaggi, rapiscono le donne, rubano. I vecchi membri delle Rsf erano più disciplinati. Recentemente ai loro reparti si sono però aggiunti mercenari stranieri (ciadiani, libici, nigerini, ecc.) ai quali è stato garantito il diritto di saccheggio. Non c’è legge né ordine nelle aree sotto il loro controllo».

In tutto il Paese la situazione umanitaria è difficile. «A causa dei combattimenti, molti ospedali e cliniche sono stati distrutti o sono diventati inaccessibili — conclude la nostra fonte —. Molti medici e infermieri sono morti o sono fuggiti. Le strutture rimaste operative sono sovraffollate e spesso non hanno accesso a medicine, attrezzature o energia elettrica. Le cattive condizioni igieniche, la mancanza di acqua potabile e l'accesso limitato ai servizi sanitari stanno provocando focolai di malattie infettive come colera, malaria e morbillo. La malnutrizione, dovuta alla carenza di cibo, peggiora ulteriormente la situazione, indebolendo ulteriormente la resistenza della popolazione».

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06 ottobre 2024, 09:00